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Articoli: La fotografia celeste a vasto campo

Dopo aver imparato a trovare le costellazioni e gli oggetti celesti più importanti, si può avere il desiderio di fissare l’immagine sulla pellicola. La fotografia celeste (o astrofotografia) offre numerose attrattive ed apre ampi orizzonti di ricerca ai cacciatori di immagini. In effetti, ci sono diversi vantaggi rispetto all’osservazione visuale:

1) E’ possibile avere a disposizione un documento che testimonia definitivamente tutto quello che si è registrato sulla pellicola in quel giorno;

2) L’immagine così ottenuta rappresenta un documento fedele ed oggettivo, mentre l’osservazione visuale o il disegno sono soggettivi;

3) Le esposizioni fotografiche analogiche consentono di accumulare la luce e di rendere visibili gli oggetti più deboli, anche quelli invisibili ad occhio;

4) Le pellicole offrono una gamma di sensibilità ai colori dello spettro molto estesa, perciò possiamo cogliere immagini nell’infrarosso e nell’ultravioletto, con i colori degli oggetti celesti fotografati;

5) La zona di cielo inquadrata da una fotografia è molto più estesa di quella che si osserva all’oculare di un binocolo o di un telescopio.

L’evoluzione del mercato informatico sta facendo calare l’interesse per la fotografia analogica in favore di quella digitale, ma la fotografia chimica resta tuttora la più nitida (centinaia di Megapixel) e la più economica da realizzare.

Per numerosi dilettanti appassionati di astrofotografia, la foto a vasto campo rappresenta il primo passo verso una visione più grande dell’universo di quella che il telescopio svelava alla mente del curioso. Per altri, questo può essere solo il primo passo sulla strada dell’apprendimento dei mezzi per realizzare fotografie molto belle ed eccitanti. Prescindendo dal motivo, la macchina fotografica reflex per il 35mm, dotata di un obiettivo normale da 50mm di lunghezza focale è lo strumento ordinario per la prima avventura in questo campo affascinante e misterioso.

La macchina fotografica deve essere quindi reflex, possibilmente meccanica, dotata di posa B o T e provvista di un innesto per ottiche tra i più facilmente reperibili in commercio. L’impiego di un cavetto di scatto flessibile per agire a distanza permette inoltre di eliminare gran parte delle vibrazioni. L’otturatore deve restare aperto per diversi minuti, perciò è meglio se non consuma le batterie.

Gli obiettivi fotografici comuni sono diffusissimi, spesso vengono sottovalutati, ma consentono di ottenere immagini spettacolari, se utilizzati opportunamente. Il 50mm è chiamato “normale”, perché inquadra le cose come l’occhio umano, mentre gli obiettivi con focali più corte vengono chiamati grandangolari e quelli con lunghezze focali maggiori del 50mm teleobiettivi.

La fotografia astronomica a vasto campo si occupa delle costellazioni, degli oggetti del profondo cielo (nebulose, ammassi stellari, galassie), della Via Lattea, delle meteore e delle comete. La lunghezza focale dell’obiettivo determina l’ampiezza del campo inquadrato, che deve essere scelto in relazione alle dimensioni dell’oggetto da fotografare. Per la Via Lattea, presa per intero, occorre adoperare focali da 14mm a 24mm. Per ingrandire alcune parti occorrerà un 50mm oppure un 85mm o più, mentre per avere sul fotogramma anche i particolari del paesaggio sarà utile un fish-eye. Se si vuole fotografare invece la nebulosa di Orione ci vorrà una focale superiore ai 300mm. La tabella riporta le dimensioni angolari del campo inquadrato da ogni obiettivo sul fotogramma 24x36mm del piccolo formato 35mm. Naturalmente, si possono adoperare formati più ampi, però il peso e l’ingombro dell’attrezzatura aumenteranno e con essi anche i prezzi.

Campo angolare degli obiettivi fotografici per il formato 35mm.

Lunghezza focale in mm Dimensioni del campo Angolo sulla diagonale

14 81,2° x 104,2° 114,2°

18 67,3° x 90,0° 100,4°

20 61,9° x 83,9° 94,5°

24 53,1° x 73,7° 84,0°

28 46,3° x 65,4° 75,3°

35 37,8° x 54,4° 63,4°

50 26,9° x 39,5° 46,7°

85 16,0° x 23,9° 28,5°

105 13,0° x 19,4° 23,2°

135 10,1° x 15,1° 18,2°

200 6,8° x 10,2° 12,3°

300 4,5° x 6,8° 8,2°

400 3,4° x 5,1° 6,1°

600 2,2° x 3,4° 4,1°

800 1,7° x 2,5° 3,0°

1000 1,3° x 2,0° 2,4°

2000 41’ x 62’ 1,2°

3000 28’ x 42’ 50’

Oltre agli obiettivi a focale fissa, vi sono quelli a focale variabile, meglio noti come zoom; con essi non sempre esistono dei vantaggi, i principali punti critici sono i seguenti:

1) il meccanismo che fa variare la lunghezza focale generalmente tende a spostarsi durante le lunghe pose, rovinando così le foto, tranne che non sia dotato di un blocco;

2) il costo di un obiettivo a focale variabile di alta qualità fino ai bordi è assai più elevato di un’ottica a focale fissa;

3) la luminosità dell’immagine fornita dagli zoom generalmente è inferiore a quella degli obiettivi a focale fissa;

4) gli zoom distorcono le immagini più facilmente;

5) gli zoom pesano di più.

Da ciò si può dedurre che, se si sceglie di utilizzare un obiettivo zoom, si dovrebbe controllare attentamente il suo funzionamento. Recentemente sono apparsi sul mercato degli obiettivi zoom professionali di alta luminosità (2,8) con lenti asferiche per eliminare la distorsione e gli altri difetti delle immagini: essi offrono risultati decisamente positivi, superando talvolta le focali fisse! Ho provato uno di questi zoom alla massima apertura ed ho notato che il comportamento era uniforme da un bordo all’altro, non c’era traccia di distorsione e le aberrazioni erano quasi invisibili, tuttavia il funzionamento può variare con la lunghezza focale. Se alle lenti asferiche vengono abbinate anche le lenti a bassa dispersione, persino l’aberrazione cromatica diventerà irrilevante ed offriranno immagini straordinarie, anche a tutta apertura. Inoltre, ho utilizzato un 300mm a tutta apertura (2,8) ed ho ottenuto sempre immagini puntiformi su tutto il campo inquadrato (anche agli angoli), segno di un’ottima correzione delle aberrazioni e della vignettatura già dalla piena apertura.

L’apertura relativa (o luminosità) di un obiettivo fotografico convenzionalmente varia secondo il tipo di progetto adottato. Solitamente è possibile fare variare la luminosità da un massimo (2,0) ad un minimo (22,0). Tra uno scatto e l’altro c’è una variazione del 50%, perciò se si apre di uno stop un obiettivo si avrà il doppio della luce, mentre se di chiude di uno stop si otterrà una riduzione della metà. Le grandi aperture sono assai vantaggiose in astronomia, poiché gli oggetti celesti hanno basse luminosità intrinseche e si deve inseguire per lungo tempo. L’inseguimento si effettua su di una montatura equatoriale con motore, dato che la Terra si sposta e gli oggetti sorgono, culminano e tramontano.

Un errore comune che si osserva nelle foto a vasto campo è l’uso costante degli obiettivi alla massima apertura. Poiché quasi tutti gli obiettivi delle macchine reflex sono stati progettati per offrire la prestazione migliore a 1-2 valori dopo la massima apertura, l’uso dell’obiettivo a tutta apertura spesso accentua le aberrazioni, produce una vignettatura eccessiva e causa velature forti ed irregolari. Le ottiche delle macchine fotografiche comuni sono state progettate in modo da rispondere alle necessità dell’utente medio. Questi requisiti non sono tanto rigorosi come quelli della fotografia stellare, che è il test più severo per ogni obiettivo. Le aberrazioni sono difetti degli obiettivi che non si vedono facilmente sui ritratti o sulle fotografie di paesaggio. Oltretutto, nella maggior parte delle applicazioni di tutti i giorni, il fotografo è interessato soltanto alla parte centrale della fotografia, così le aberrazioni ai bordi passano inosservate. Per di più, nella maggior parte delle applicazioni fotografiche, gli obiettivi vengono utilizzati raramente in prossimità della massima apertura, il che rende meno appariscente la presenza delle aberrazioni e della vignettatura (=perdita di luce ai bordi).

Per le applicazioni astronomiche, il test più semplice per determinare l’apertura di diaframma migliore di ogni dato obiettivo è eseguire una serie di foto guidate del cielo notturno. Se l’obiettivo deve essere diaframmato oltre 2 valori dopo la massima apertura per ridurre le aberrazioni e la vignettatura a livelli accettabili, servirà poco nel lavoro astronomico. I vantaggi del diaframmare sono duplici: non solo si sopprimono le aberrazioni e la vignettatura, ma si riduce anche il velo di fondo, migliorando il contrasto da ogni parte. Con le nuove pellicole supersensibili che stanno uscendo, un’esposizione di 20 minuti a f/4 con una pellicola da 1000 ISO produrrà risultati stupendi. Poiché le fotografie eseguite con un obiettivo da 50mm ed un motorino d’inseguimento di buona qualità non dovrebbero essere guidate con cannocchiali e oculari con crocicchio, non c’è motivo di rinunciare alla qualità per fare un’esposizione più breve. Per migliorare ulteriormente la resa degli obiettivi è conveniente utilizzare talvolta un filtro (UV, Skylight, giallo o rosso). Di recente sono comparsi sul mercato alcuni filtri, detti interferenziali, che bloccano certe lunghezze d’onda e ne trasmettono invece altre, tuttavia il loro costo resta ancora elevato.

L’attrezzatura ideale comprende quindi una serie di obiettivi per poter riprendere meglio i vari aspetti del cielo nelle diverse stagioni. In estate potete fotografare bene la Via Lattea, molte nebulose e ammassi aperti. In autunno puntate gli obiettivi sulla galassia di Andromeda, l’ammasso doppio del Perseo e su Cassiopea. D’inverno spiccano Orione con le sue nebulose ed il Toro con i suoi ammassi. Disporre di diversi obiettivi vi servirà per riempire meglio il fotogramma secondo l’oggetto desiderato. Occorrono, in linea di massima, un 24mm, un 50mm, un 135mm ed un 300mm, oppure uno zoom 28-70mm ed un 300mm. Si può acquistare poi un moltiplicatore di focale 1,4x. La possibilità di avere l’autofocus qui è inutile, giacché si lavora sempre impostando la messa a fuoco sull’infinito (∞). L’impiego di un trascinatore è indispensabile ed implica pure la conoscenza della messa in stazione verso il Polo Celeste, aiutandosi con la Stella Polare. Il treppiedi (o cavalletto) è un altro accessorio indispensabile per la buona riuscita delle foto.

Dopo aver montato un telescopio, nel luogo prescelto, sulla montatura equatoriale, si deve sistemare correttamente tutto l’insieme in modo da poter mantenere l’oggetto celeste costantemente puntato al centro del campo per ore. Ciò significa che si deve orientare con molta precisione la montatura del telescopio per farla funzionare perfettamente dopo aver bilanciato ogni parte dell’insieme. Per orientare correttamente l’asse polare della montatura esistono vari metodi, qui ne descriveremo due molto importanti. Il primo è un metodo approssimato, che consente di fotografare con strumenti di corta focale in tempi abbastanza brevi. Questi procedimenti permettono di rendere l’asse polare della montatura parallelo all’asse di rotazione terrestre, in modo da riuscire ad annullare gli effetti del moto diurno, come previsto dalla teoria. Nell’emisfero boreale le stelle sembrano girare attorno alla Stella Polare (α Ursae Minoris), che è l’ultima stella della coda del Piccolo Carro. Gli appassionati che si recano nell’emisfero australe sono purtroppo meno fortunati dei loro colleghi, poiché le stelle prossime al Polo Sud Celeste non sono splendenti come la Stella Polare. Dunque, le stelle più vicine ai poli celesti sono la Polare (di magnitudine +2) e la σ Octantis (di magnitudine +5,5), che distano rispettivamente 48’ e 59’. Innanzi tutto, si deve mettere in piano la montatura equatoriale, regolando la lunghezza delle gambe del treppiedi ed osservando la posizione della bolla di livello, finché non si sposta proprio sul centro. Le montature equatoriali alla tedesca spesso sono corredate da un cannocchiale polare (ad esempio 6×30, 8×50, 9×60, ecc.), perciò basta osservare direttamente nel cannocchiale per orientare correttamente l’asse della montatura. In pratica, la Polare deve rientrare in un apposito circoletto. Il cannocchiale polare ha un reticolo illuminato che contiene pure le posizioni delle stelle del campo vicine alla Stella Polare, regolabile tramite un disco orario ed un cerchio datario. Questi reticoli speciali servono proprio a facilitare l’allineamento polare della montatura, ma purtroppo non sono presenti sui modelli con montatura a forcella, allora si dovrà portare la declinazione fino a +90° ed osservare nel cercatore finché la Stella Polare non arriva al centro del campo. Per fare avvicinare al Polo ulteriormente l’asse polare della montatura, si deve applicare un metodo più preciso, che permetterà di realizzare fotografie nettamente superiori. Il metodo descritto sotto è quello introdotto nel 1893 dall’astronomo francese Bigourdan. Questo richiede l’uso di un oculare con reticolo illuminato, da inserire nel portaoculari del telescopio. Dopo aver sistemato la montatura in modo approssimato con il metodo descritto precedentemente, si deve puntare il telescopio verso una stella vicina al meridiano ed all’Equatore Celeste. Subito dopo, si deve aggiustare il crocicchio illuminato dell’oculare in modo da far coincidere una delle linee con il movimento orario degli astri. Ciò si realizza ruotando l’oculare nel barilotto fino a raggiungere la posizione esatta. Mentre si osserva, la stella inquadrata si sposta lentamente dal centro del campo e lo spostamento indica l’esistenza di un errore di allineamento. Il metodo di Bigourdan permette di allineare il telescopio al Polo Celeste anche quando la visione del polo è preclusa da edifici o da monti. Se la stella inquadrata si sposta verso l’alto, si deve ruotare l’asse polare della montatura in direzione Ovest. Analogamente, se la stella si muove verso il basso, la montatura dovrà essere spostata in direzione Est. Quanti spostamenti servono a sistemare nel piano meridiano (o in azimut se preferite) la montatura non è facile stabilirlo, tuttavia si deve arrivare progressivamente nella posizione esatta. In genere, bisogna ruotare appena la montatura diverse volte fino ad arrivare nella posizione in cui la stella non si muove più dal centro del crocicchio. A questo punto si deve trovare e puntare un’altra stella, possibilmente abbastanza luminosa, affinché risulti chiaramente visibile nello strumento. La stella da puntare deve essere prossima all’orizzonte Est oppure Ovest (a 15-20° massimo di altezza) e vicina all’Equatore Celeste. Se una stella ad Est si sposta verso Sud, cioè a sinistra, si deve alzare l’asse polare. Viceversa, se la stella si muove verso Nord, cioè a destra, l’asse polare deve essere abbassato. Se invece si punta una stella prossima all’orizzonte Ovest le operazioni debbono essere invertite. La posizione esatta si ottiene quindi per approssimazioni successive, fino a quando la stella non rimane ferma al centro del crocicchio. Questa regolazione permetterà di sistemare definitivamente l’inclinazione dell’asse polare della montatura e sarà utile ogni volta che si ritorna a fotografare sullo stesso sito. Gli osservatori che si trovano nell’emisfero australe dovranno invertire però tutte le istruzioni sopra elencate. Al termine delle regolazioni, con il movimento orario invertito, in questo caso, la stella scelta deve restare al centro del campo per alcuni minuti. Quando la stella rimane immobile al centro del crocicchio, la montatura è sistemata perfettamente. Naturalmente, i movimenti saranno più ampi all’inizio della procedura e si ridurranno man mano che si procede.

Il problema più difficile da risolvere per la fotografia celeste è quello della presenza dell’inquinamento luminoso, dovuto alle luci artificiali dei centri urbani ed extraurbani. Questo fenomeno arreca disturbo alla buona riuscita delle fotografie e si manifesta nelle vicinanze dei centri abitati, a causa del riverbero dell’illuminazione, che alla fine renderà le foto inaccettabili, con un cielo dalla tinta gialla, verde o grigia. La soluzione del problema richiede l’uso di un buon paraluce e della ricerca di luoghi più bui, dove la Via Lattea risalta bene anche ad occhio nudo. In Italia, i cieli più bui si trovano in Valle d’Aosta, sull’Appennino tosco-emiliano, vicino Grosseto, al confine tra Abruzzo e Molise, al confine tra Basilicata e Calabria, sulle vette centrali della Sardegna.

Comunque, non crediate che sia possibile ingrandire le stelle come piccoli globi, perché la loro distanza richiede focali di 200metri. Di conseguenza, una stella resterà sempre un puntino sia con un 35mm, che con un 2000mm.

Per quanto riguarda le pellicole da utilizzare (fresche e ben conservate), è opportuno sceglierne una piuttosto sensibile 400-1600 ISO. Inoltre, quando si porta a sviluppare il rullino, occorre specificare che si tratta di foto astronomiche senza margini ben definiti e che si devono sviluppare senza tagliare la pellicola (si dice sviluppo in striscia). Durante la fase dello sviluppo, infatti, il macchinario o l’operatore potrebbero tagliare a metà una foto, perché fanno fatica a distinguere lo spazio vuoto tra due fotogrammi e lo sfondo del cielo, solitamente sempre nero.

Il tempo di posa limite in minuti è dato dalla seguente tabella, per un cielo buio, limpido e senza Luna. Si tiene conto anche del difetto di reciprocità delle pellicole impiegate.

Tabella del tempo limite di saturazione in minuti per varie pellicole.

Apertura 100 ISO 250 ISO 400 ISO 800 ISO 1600 ISO

2,0 66 min. 24 min. 14–25 min. 6–11 min. 3 – 5 min.

2,8 141 50 30 – 53 14 – 25 6 – 11

3,5 233 83 49 – 87 23 – 40 10 – 18

4,0 315 113 66 – 117 30 – 53 14 – 25

5,6 671 240 141 – 251 65 – 115 30 – 53

Tempo limite in secondi per macchine fisse sul treppiedi e stelle puntiformi

Obiettivo 0° 30° 45° 60°

20mm 30 sec. 35 sec. 42 sec. 60 sec.

24mm 25 29 35 50

28mm 21 25 30 43

35mm 17 20 24 34

50mm 12 14 17 24

100mm 6 7 8 12

300mm 2 2 3 4

Tipo di astrofotografia Pellicola consigliata Obiettivo e tempo di posa

Congiunzioni di pianeti

Luminosi al tramonto con

La Luna 100-400 ISO come

Kodak Ektachrome E200

Fuji Provia 400F 35-70mm a f/2.8

Scattare quando l’esposi- metro segna 1-8 secondi

Costellazioni, aurore 800 ISO come

Fuji Superia X-tra 800 20-50mm a f/2.8

20-40 secondi

Costellazioni, Via Lattea,

stelle cadenti, con motore 1600 ISO 8-50mm a f/2.8

6-11 minuti

Foto con inseguimento al

telescopio 800 ISO 14-300mm a f/2.8

Fino a 25 minuti.
Articolo di:

prof. Angelo Meduri – SAit